| Sembra che questo terzo principio della termodinamica sia letteralmente un principio (inizio) di comprensione, per nulla una certezza ! Vediamo perche':grazia russo. UlisseAntonino Drago Dipartimento di Scienze fisiche, Università di Napoli "Federico II"
Dall'analisi di circa venti tra manuali e articoli dedicati al terzo principio della termodinamica risulta che gli enunciati con cui viene espresso possono essere raggruppati in due versioni distinte che corrispondono, grosso modo, a quelle originarie di Planck e di Nernst. Le due versioni sono le seguenti:
Enunciato I: È impossibile raggiungere la temperatura dello zero assoluto mediante una qualsiasi sequenza finita di trasformazioni termodinamiche. Questo enunciato viene generalmente chiamato principio di irraggiungibilità dello zero assoluto e corrisponde alla formulazione originaria di Nernst.
Enunciato II: Il limite della variazione di entropia di un sistema termodinamico, per qualsiasi trasformazione reversibile tra stati di equilibrio, tende a zero quando la temperatura si approssima allo zero assoluto, indipendentemente dagli altri parametri di stato termodinamici.
Enunciato III: A volte l'Enunciato II viene espresso facendo riferimento direttamente al valore dell'entropia allo zero assoluto, senza limitarsi a parlare di differenze di entropia, e questo valore viene posto uguale a zero; questo enunciato corrisponde maggiormente a quello originario di Planck.
Per alcuni (ad es., Carathéodory, C. Truesdell), il terzo principio della termodinamica non esiste.
Ovviamente ci sono idee disparate sulla equivalenza o no dei vari enunciati del terzo principio (il più approfondito mi sembra il testo di Landsberg (P.T. Landsberg, Thermodynamics and Statistical Mechanics, Dover, New York, 1990; si vedano anche idem, “Answer to question # 34. What is the third law of thermodynamics trying to tell us?”, Am. J. Phys. 65 (4), 1997, pp. 269-270 e P. Saiello: "Il terzo principio della termodinamica alla luce della matematica costruttiva", in P. Tucci et al. (edd.): Atti del XXIII Congresso Nazionale di Storia della Fisica e dell’Astr., Progedit, Bari, 2004,. 362-371)
La domanda posta è quindi pertinente e giusta: uno studioso di fisica che deve pensare di questa varietà di direzioni proposte?
È evidente che ci troviamo di fronte a una divergenza tanto più importante se pensiamo che si tratta di un principio di una teoria fisica vecchia di più di un secolo che getta i fondamenti della termodinamica.
Alcuni scienziati hanno tratto conclusioni finendo per svalutare la termodinamica classica, secondo ben noti giudizi: come una teoria immatura (Kuhn) oppure come una teoria che non ha mai saputo bene a quale matematica affidarsi (Born, Truesdell). Questi giudizi però sono in contrasto con quanto riteneva il grande epistemologo Ernst Mach, secondo cui la termodinamica è la base di tutta la fisica teorica, e che solo per circostanze accidentali (le prime civiltà dell’umanità sono state fondate su strumenti meccanici) la meccanica ha avuto un ruolo dominante.
Il terzo principio in effetti riguarda la matematica della termodinamica.
Innanzi tutto solo la teoria della termodinamica ha una matematica molto particolare: non ha una geometria (il piano P-V di Clapéyron non ha metrica), non ha la variabile spazio (ma solo il volume, cioè la misura di una zona di spazio ristretta), né quella del tempo continuo, tutte le sue variabili sono definite positive, non ha quindi le variabili usuali per l’uso del calcolo differenziale (che per di più non ammette variabili positive), mentre invece ha una curiosa simmetria tra variabili intensive (come T e P) e variabili estensive (come V e S). Tutto ciò fa sospettare che la matematica della termodinamica classica sia innovativa.
Il terzo principio conferma questa idea. Chi invece sostiene che questo terzo principio non esista usa la matematica delle relazioni differenziali come basilare per le sue formulazioni un po’ modificate della termodinamica.
L’Enunciato I (come l’impossibilità del moto perpetuo, un principio che per un secolo è stato la base teorica di quasi tutti i termodinamici) non ha maniera di essere tradotto in matematica.
L’Enunciato III scrive delle formule del tipo lim DS(x, T) = 0 per T–>0 o anche S(x1, 0) –> S(x2, 0) = 0, che sono dei semplici promemoria perché, come dice l’altro Enunciato I, lo 0 di S e di T è irraggiungibile. Quindi la formula indicata attribuisce alle grandezze S e T dei valori non fisici; il che non è metodologicamente valido (in relatività abbiamo valori all’infinito, ma in questo caso ci sono enti che le realizzano; ad esempio la luce viaggia ad una velocità c che per gli altri corpi è infinita; nel caso dell'Enuciato III del terzo principio della termodinamica non esiste alcun corpo che può assumere quei valori).
L’Enunciato II utilizza il concetto di limite, ma in modo impreciso, o forse parziale. Esso è definito come una progressione di intervalli approssimanti il punto limite, il quale, se anche non ci fosse, viene attribuito come punto finale alla serie approssimante. In altri termini, quando c’è la serie approssimante non c’è modo di non avere il punto finale. Perciò in questa matematica non si può esprimere un limite irraggiungibile (si potrebbe anche dimostrare che questa matematica non può definire bene neanche il concetto di reversibilità). Lo stesso accadrebbe se usassimo l’analisi non-standard (volgarmente, gli infinitesimi di newtoniana memoria): non potremmo esprimere un’impossibilità di raggiungere un punto limite (mentre invece potremmo definire il concetto di reversibilità, mediate la utilizzatissima definizione di processo quasi-statico, cioè esattamente composto da stati-infinitesimi, che nello stesso tempo sono processo e sono punti).
L’Enunciato II avrebbe senso matematico preciso in una matematica che definisse il limite con la sola serie approssimante, senza preoccuparsi se esso non raggiunge il limite. Questa matematica esiste ed è chiamata costruttiva perché imponendo di costruire ogni ente che usa, non aggiunge, con un’operazione ideale, il punto finale a una serie costruttiva che non arriva al punto limite.
In questo modo, il terzo principio di fatto non è un principio sul rapporto con la realtà, bensì un principio metodologico, che ci fa scegliere il tipo di matematica. Visto che il rapporto fisica-matematica è basilare per tutta la fisica (tanto più, quando manca la geometria che nei secoli precedenti aveva fatto da base ad acustica, ottica, meccanica ed elettromagnetismo) questo principio allora dovrebbe essere posto per primo (così come in meccanica lo è il principio d’inerzia, che attraverso il moto rettilineo e uniforme su una retta infinita definisce la variabile base della sua matematica). La frase del principio non è complicata: “Ogni grandezza termodinamica è definita positiva.” Il concetto di reversibilità (definito senza il quasi-statico, che ha il grande difetto di non considerare attriti, viscosità ed isteresi) andrebbe ad affinare questa scelta della matematica (in quella costruttiva, cioè quella più aderente alla operatività, così come è nel carattere molto operativo della termodinamica).
Ma nella fisica teorica la scelta del tipo di matematica si è già presentata, e drammaticamente, con i quanti. Allora fece tremare i fondamenti della fisica tutta. Se ne è usciti riconfermando lo schema della matematica classica (spazio di Hilbert). Oggi certamente non si ha piacere di rimettere in discussione questa riconferma, a causa di un’anomalia intellettuale nella vecchia termodinamica classica.Edited by FabrizioOrsoBianco - 1/6/2012, 11:14
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